giovedì 31 ottobre 2013

Lozzole, la rinascita e la memoria

Articolo redatto e pubblicato da Antonella Falco sulla rivista "2001 Romagna - Numero Centoquaranta" - Tipografia Faentina Editrice (Giugno 2013 - Pagg.70/79)
Vietata la riproduzione senza l'autorizzazione dell'autrice (contattabile via mail all'indirizzo antonellafalco6@gmail.com).
Rivista acquistabile in tutte le edicole di Faenza (Ra) e dintorni e nelle librerie faentine.

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Camminare è la mia più grande passione e questa passione s’intreccia con l’amore per il nostro Appennino, che permette escursioni mozzafiato alla scoperta di punti in cui Romagna e Toscana si mischiano in luoghi magici come Lozzole, dove la natura in tempi passati ha lasciato spazio alla civiltà, una civiltà rurale, montana, antica, di cui si puo’ ancora percepire l’eco affacciandosi agli splendidi panorami che si possono ammirare dai tanti crinali che caratterizzano questa zona.

Lozzole, un po' di storia
Cartina escursionistica di Palazzuolo Sul Senio (Fi) e dintorni
Lozzole è un piccolo borgo posto sul giogo montano che fa da spartiacque tra le vallate dei fiumi Senio e Lamone, a circa 800 metri sul livello del mare, tra i comuni di Palazzuolo Sul Senio e Marradi, entrambi in provincia di Firenze.
Lozzole e la sua chiesa, dedicata al Santo Bartolomeo, nonostante geograficamente siano compresi nel territorio toscano, fanno capo alla Diocesi di Faenza-Modigliana (rispettivamente in provincia di Ravenna e Forlì).


Non si hanno notizie certe e precise riguardo alla costruzione dell’attuale Chiesa di San Bartolomeo e la fondazione della parrocchia. Alcuni documenti riportano il 1782 come data d’erezione della chiesa, ma pare che già tra il 1299 e il 1350 se ne abbia notizia come compresa all’interno del borgo del Castello di Lozzole, allora posseduto dal Vescovo di Firenze.
Agli storici la definizione di queste informazioni, che non tolgono la certezza che in questo luogo il tempo ha fatto il suo corso conservando in un modo o in un altro la presenza dell’edificio, a momenti consacrato o meno.

Definire ‘borgo’ il piccolo nucleo abitativo di Lozzole puo’ sembrare un po’ azzardato, essendo presenti nel punto descritto solo quattro edifici: la chiesa di San Bartolomeo con annessa la sua canonica, vicine due case contadine (di una delle quali, attualmente, restano solo i ruderi) e poco più in là un piccolo edificio, che a partire dalla fine degli anni ’40 ospitò per qualche anno il circolo ricreativo del borgo.
Originariamente il nome effettivo della località su cui sorge Lozzole era ‘La Colla’, nome che era rimasto a identificare una delle due abitazioni accanto alla canonica, mentre la seconda era identificata come ‘La Stalla’.

‘Lozzole’, infatti, era più che altro il nome che definiva l’intera zona circonstante la parrocchia con tutte le case abitate dal cosiddetto ‘popolo di Lozzole’ sparse qua e là e, alcune di esse, anche distanti ore di cammino dalla chiesa, che facevano riferimento a questo nucleo sul crinale quale punto d’incontro tra le famiglie per momenti sociali, religiosi e ricreativi. Anche tanti dei nomi di queste case sono presenti nelle cartine a identificare le località in cui sorgevano e in cui ora restano solo ruderi: le Fogare, Cà del Piano, Pian di Bonaccia, Pian delle Fagge (o della Faggia), Finto morto, Cà Vecchia, Il Cigno, etc.

Lozzole (Foto di Antonella Falco)
Nel borghetto di Lozzole, oltre alla chiesa e al piccolo circolo c’era anche la scuola ospitata in una stanza della canonica, frequentata dai bambini, che arrivavano a piedi dalle montagne circostanti per riuscire a ‘prendere’ (si diceva allora) almeno le classi elementari. Sempre qui, durante le grandi occasioni (ad esempio, la Festa dei fiori ai primi di maggio e altre festività importanti) si riunivano anche le persone che arrivavano da altri paesi e parrocchie per festeggiare.



Proprio durante le mie “battute di trekking” da queste parti ho cominciato a incuriosirmi, a volerne sapere di più riguardo a questo splendido territorio, a pormi domande sui posti che vedevo percorrendo i numerosissimi sentieri tracciati nel tempo dagli esperti escursionisti che mi avevano preceduta. Sentieri che in tanti casi ripercorrono le vecchie carraie che erano utilizzate dalle genti di montagna per spostarsi, prevalentemente a piedi o al massimo con un ciuco, un cavallo o un mulo, e che per tantissimi anni hanno popolato l’Appennino oppure da carbonai e boscaioli che dai monti attingevano le risorse per il proprio sostentamento. Sentieri battuti tra i boschi o campi scoscesi o ancora, quando era stato possibile farlo, selciati con grandi lastre di pietra che ancora combattono contro il tempo e le intemperie che li divorano.

Le domande che si riproponevano maggiormente nella mia mente erano riferite a “chi aveva mosso gli stessi passi che muovevo io per quelle montagne? Perché? Dove si dirigeva? Come trascorreva le proprie giornate lassù? Quali erano le difficoltà che doveva superare per potersi ricavare angoli adatti alla propria sopravvivenza e a quella della propria famiglia?”.

Amo definirmi una “pellegrina” nel senso più antico del termine, non quello che più di recente ha relegato la parola all’ambito religioso.
Il “peregrinus” inizialmente era, infatti, colui che si muoveva, peregrinava appunto, “per-agros” (etimologia latina), cioè “attraverso i campi”, le zone al di fuori delle città: erano viandanti, mercanti, vagabondi, religiosi; erano, insomma, tutti coloro che si spostavano prevalentemente a piedi, assecondando un tipo di vita “nomade” tale per le più svariate motivazioni.
I pellegrini incontrano sempre molte persone lungo il proprio cammino e con queste parlano, si scambiano informazioni, chiedono indicazioni.
Sarebbe piaciuto anche a me incontrare più persone lungo i nostri sentieri montani per farmi dare da loro le risposte alle domande che mi ponevo.


Visuale dall'interno di uno dei portici laterali
della Chiesa di San Bartolomeo di Lozzole
(Foto di Antonella Falco)
Ormai però, questi territori sono disabitati. Infatti, dal secondo dopo guerra in poi, piano piano, le famiglie che qui vivevano si sono spostate a valle nella speranza di una vita migliore, più comoda e di un lavoro più remunerativo della scarna agricoltura che qui praticavano.
Così ho deciso di rifarmi a quanto raccontano gli anziani che hanno vissuto lassù fino a 30 o 40 anni fa per raccogliere notizie e trovare nelle loro parole descrizioni di quanto avveniva in quella comunità appenninica definita ‘il popolo di Lozzole’.
L’occasione della raccolta di tutte le informazioni presenti in questo articolo, sono infatti il risultato di questi dialoghi innumerevoli, sporadici, fatti ‘a pezzi’, arrivati dalle voci più svariate (ex abitanti del posto, volontari, parroci, etc), ma che come i pezzetti di un puzzle sono arrivati a comporre un racconto omogeneo e soprattutto reale. Un racconto che descrive passato, presente e rinascita di Lozzole. 

Lo spopolamento delle montagne avvenuto tra gli anni ’50 e ’70 ha portato l’abbandono e il graduale degrado sia di Lozzole che di tutte le abitazioni sparse tra i monti circostanti e anche la fine delle attività di servizio come quella del Mulino delle Fogare, che serviva tutto il ‘popolo di Lozzole’.
Le famiglie che lassù vivevano, erano per la maggiore contadini e piccoli allevatori. Mezzadri di proprietari terrieri che possedevano ampi appezzamenti di terreni montani. La loro era un’economia di sussistenza e molto semplice, che si basava sull’allevamento di pochi capi d’animali: qualche mucca da latte (con cui producevano formaggi da dividere col padrone), capre, pecore, galline e conigli.
Le coltivazioni erano piccole e di grano e granturco; l’occupazione prevalente era quella data dalla cura dei castagneti, molto numerosi ancora oggi da quelle parti e alla raccolta delle castagne, componenti basilari dell’alimentazione di queste genti (la polenta dolce di castagne era, infatti, il piatto che più comunemente si gustava freddo o caldo nelle case di tutti).
Tutti, bambini compresi, contribuivano al lavoro domestico e della scoscesa campagna che avevano a disposizione, al pascolo degli animali (molto spesso affidato proprio ai più piccoli) e alla produzione di quanto più si poteva in casa: pane, formaggio e poco altro.

Per comprendere quale fosse il ‘territorio’ di Lozzole, bisogna far riferimento alla competenza della parrocchia di San Bartolomeo, delimitata a nord dal crinale dell’Appennino tosco-romagnolo, a sud dalla strada statale Faentina (attualmente SS 302) nei pressi di Fantino di Marradi; ad ovest fino alla località dei Diacci nel cuore dell’Appennino in cui incontra il territorio di pertinenza della Parrocchia di Casetta di Tiara e, infine, ad est con quella di Cardeto.
Una parrocchia che fino al 1946 contava circa 200 ‘anime’, che in meno di mezzo secolo si sono ridotte ad un numero inferiore alla decina.

La ricostruzione
Questi e forse pure meno i numeri che si contavano all’incirca a metà degli anni 2000, quando il parroco faentino Don Antonio Samorì, che già aveva condotto e terminato con l’aiuto di tanti volontari, la ristrutturazione del noto Eremo di Gamogna e del piccolo nucleo di Trebbana (entrambe nel comprensorio del Comune di Marradi - FI), decise di ristrutturare anche il borghetto di Lozzole partendo proprio dalla Chiesa di San Bartolomeo e la sua canonica, già in avanzato stato di deperimento e privi di tanti arredi che, purtroppo, col tempo erano stati portati altrove o da chi voleva salvarli dall’abbandono in cui versavano e conservarli al meglio (è il caso della statua della Madonnina di Lozzole, che si diceva elargisse molte grazie, spostata forse –racconta chi conserva ancora questi ricordi- nella chiesa di Casaglia) o, spiacevolmente, da sciacalli soliti nel trafugare questo tipo di materiale da luoghi similmente abbandonati.

Vista di Lozzole con impalcature del restauro.
Primi anni 2000 (Foto dal web)
Don Antonio Samorì con l’aiuto dei tanti volontari che lo seguono in queste splendide opere di recupero e supportato a più riprese dalla Società Polisportiva e Culturale di San Cassiano, negli anni è riuscito a riportare la chiesa di Lozzole all’antico splendore.
E proprio lo scorso 12 agosto 2012, con una cerimonia alla quale hanno partecipato anche Cristian Menghetti, sindaco del Comune di Palazzuolo sul Senio assieme a una folta delegazione di concittadini e il Cardinale di Firenze S.E. Mons. Giuseppe Betori, ha inaugurato ufficialmente la riapertura della Chiesa di San Bartolomeo.
Una chiesa semplice, essenziale e viva! Impreziosita all’interno da un monumentale crocefisso, posto nella parete retrostante l’altare, in legno di castagno opera dello scultore faentino (ma originario di San Cassiano) Giorgio Palli.

Nonostante questo momento ufficiale, la chiesa da quando i lavori di ristrutturazione sono iniziati, non ha mai smesso di ‘funzionare’, grazie alla puntualità di Don Samorì, che qui officia regolarmente la Santa Messa la prima domenica di maggio, in occasione della festa più nota di questo luogo, cioè ‘La festa dei fiori’, a Ferragosto, a fine estate in occasione dell’annuale festa del CAI – Club Alpino Italiano di Faenza e nelle notti delle vigilie di Natale e Pasqua.
Messe sempre gremitissime, che oltre a richiamare appassionati escursionisti, pellegrini e viandanti, riavvicina tanti di coloro che conservano il ricordo della propria vita o di quella dei propri avi trascorsa qui e nel territorio circostante. 

Cantiere d'installazione del nuovo crocefisso.
(Foto di Antonella Falco)





Occasioni di festa, ricordi e incontro, queste giornate, per vecchi e nuovi amici di Lozzole, che trovano qui un calore speciale: infatti, sia la canonica (attrezzata con cucina e circa 30 posti letto) che la Chiesa di San Bartolomeo sono sempre aperti per chi voglia ritagliarsi un momento speciale di evasione  e tranquillità, lontano dagli incalzanti ritmi cittadini e per ritrovare una spiritualità animata e intensificata dal verde che circonda questo luogo.

Nuovi amici e nuove forme di volontariato per Lozzole

Don Samorì ha anche provveduto a non lasciare senza custodia Lozzole, decidendo di affidare il ruolo di custode a qualcuno che potesse prendersi cura del ‘rifugio’ e occuparsi dell’accoglienza degli escursionisti, dei gruppi scout o di chiunque volesse alloggiarvi per uno o più giorni.

Il primo dei custodi del ‘rinnovato Lozzole’ dal 2009 al 2012, è stato Fabrizio Savorani giovane brisighellese amante dell’Appennino e amico di Don Antonio, che durante il periodo di custodia del luogo, con alcuni amici volenterosi e pure appassionati del posto, con l’intento di conservare il più possibile la memoria fisica ma pure storica di Lozzole ha provveduto ad una prima ristrutturazione e messa in sicurezza anche di quello che era lo stabile, che accanto alla canonica, aveva ospitato il circolo ricreativo del borgo.
Lo stabile che ospitava il Circolo di Lozzole
(Foto di Antonella Falco)
La scoperta dell’esistenza del circolo, è stata fatta da Fabrizio e dai suoi amici, grazie alla lettura del prezioso libro “Palazzuolo Sul Senio: le immagini e la memoria” scritto da Roberto Campomori (palazzuolese ed ex-sindaco di questo Comune) pubblicato nel 2003, in cui si fa cenno proprio a questo circolo, la cui ubicazione però non era ben definita.
Grazie ai racconti degli ex abitanti di Lozzole fatti nelle giornate di festa in cui tornano a far visita al luogo, il circolo è stato fisicamente identificato nella costruzione, fortunatamente ancora in discreto stato di conservazione, che si trova all’imbocco del sentiero lastricato che da Lozzole, passando per Stabbia, porta ancora oggi a Fantino di Marradi.

Il lavoro di ripulitura e recupero del piccolo circolo, che a quanto raccontano gli ex abitanti di Lozzole, ha alle spalle una gloriosa storia degna del luogo in cui si trova, è andato avanti e prosegue tuttora, anche se non con gli stessi ritmi e la portata dei restauri fatti alla chiesa e alla canonica.
Tuttavia, l’intento di questo ulteriore gruppo di volontari è quello di cercare di portare a termine il lavoro iniziato, raccogliendo anche tutte le notizie possibili che coloro che hanno vissuto a Lozzole e sono ancora in vita possono raccontare.

Col cambio della guardia a custodia di Lozzole, avvenuto tra il 2012 e il 2013, il giovane Fabrizio ha passato il testimone a Carlo, attuale custode del posto.
Nonostante ciò, Fabrizio ha voluto continuare a dedicare attenzione e tempo a Lozzole, procedendo col gruppo di amici formatosi proprio grazie a questo periodo trascorso lassù, nel fare ricerche che possano ricostruire la memoria del ‘popolo di Lozzole’ con episodi, storie, memorie accadute tra queste montagne.
L’intento di questo gruppo è quello di raccogliere, in un futuro prossimo, tutte le testimonianze raccolte in un volume che potrà essere venduto e il cui ricavato sarà devoluto interamente per i lavori di ristrutturazione ancora necessari per questo affascinante borgo montano, che ha la capacità di conquistare profondamente tutti coloro che hanno occasione di conoscerlo.

Lozzole (Foto di Antonella Falco)
 E così, proprio grazie a queste ricerche e interviste che questo nuovo gruppo di volontari di Lozzole (me compresa) conduce alla scoperta della vita passata del ‘popolo di Lozzole’ riemergono storie davvero belle, fatte di sorrisi, fatica, tragedie, lavoro, famiglia, di bambini privi di giocattoli, ma che una fantasiosa creatività rendeva allegri e spensierati nelle loro corse attraverso queste montagne.
Storie di maestre che insegnavano filastrocche, aspettavano sull’uscio della scuola piccoli camminatori instancabili, felici di andare a scuola perché lì potevano scoprire cose nuove e soprattutto ritrovarsi e giocare con i loro (non proprio) ‘vicini di casa’, dimenticandosi per un po’ del lavoro che li aspettava comunque a casa assieme al resto della famiglia.
Storie di scarpinate notturne alla volta del circolo, dove ‘l’orchestra’ di turno (formata di due o tre musicisti) allietava serate di balli a lume di piccole lanterne ad olio o di serate passate ‘a veglia’ nella casa di una o l’altra famiglia a giocare a carte o a raccontarsi storie tramandate da nonni a nipoti.
Leggende di fantasmi che infestavano e infestano ancora luoghi e ruderi dove chiunque passava tornava raccontando che là “si vedeva!” o “si sentiva!”.

Lavabo abbandonato in un rudere adiacente Lozzole
(Foto di Antonella Falco)
Storie di povertà e di semplicità, ma che tutti coloro che raccontano non possono far a meno di ricordare con gli occhi lucidi e una frase che accomuna tutti alla fine di ogni storia e scardina in tutti la certezza che in quei luoghi si soffrisse una vita dura piena di privazione: “Eravamo contenti!”.

Forse proprio la serenità di queste genti di montagna è quella che si respira a Lozzole ogni volta che lo si raggiunge.

8 commenti:

  1. Relazione molto particolareggiata e corredata di belle immagini. Complimenti da Cavinotto, membro dei Gruppo Escursionistico di Marradi "L'Allegra Brigata del Maggiociondolo" che si avvale di un suo blog dove si racconta del nostro girovagare su e giù per l'Appennino. Il titolo del blog è "L'ALLEGRA BRIGATA DEL MAGGIOCIONDOLO" DI MARRADI.Buone passeggiate !

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    1. Piacere di conoscerti Cavinotto e grazie mille per la lettura e il commento!
      Non conoscevo il gruppo di cui fai parte, ma annovererò volentieri il vostro blog tra quelli "amici" a cui qui sto dedicando una pagina apposita, ancora in costruzione.
      Come mai il nome "maggiociondolo"? E' per caso collegabile al tradizionale girovagar del Maggio?

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    2. No ! Il nome del Gruppo è stato abbinato ad una magnifica pianta dei nostri boschi che fiorisce a grappoli fra aprile e maggio. Fra l'altro è una pianta dal legno più duro e resistente dei nostri posti..Scusa il ritardo nella risposta.Ciao

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  2. Complimenti Antonella per tutte le notizie che sei riuscita ad ottenere! So per esperienza che non è facile e occorre dedicare molte ore alle ricerche. Ti auguro buone passeggiate e tanto successo al tuo Blog.

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    1. Anna! Un vero onore per me avere i tuoi complimenti e l'augurio è reciproco! Grazie mille!

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  3. Bellisima ricostruzione di un luogo, dei suoi abitanti, delle sue relazioni, ancora vive nel nostro territorio. Grazie! Buona notte

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  4. io sono faentino ma vivo in bolivia da 10 anni oramai....a lozzole andai la prima e purtroppo unica volta circa 25 anni fa, ricordo che suscito' in me le medesime emoz=zioni e le stesse domande del tuo articolo...complimenti e grazie per l-attivita che da modo, anche a chi e' lontano, di saperne di piu...

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  5. Posto incantevole che grazie al mio amico Francesco ho avuto il piacere di visitare il 30 dicembre 2016.
    Abbiamo avuto anche il piacere d'incontrare sia don Antonio che i simpaticissimi ed accoglienti Giorgio e
    Giovanni con i quali abbiamo trattenuto una piacevole e simpatica conversazione che conferma praticamente in tutto questo ottimo articolo.
    Grazie.
    Fabio

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