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Camminare è la mia più
grande passione e questa passione s’intreccia con l’amore per il nostro
Appennino, che permette escursioni mozzafiato alla scoperta di punti in cui Romagna
e Toscana si mischiano in luoghi magici come Lozzole, dove la natura in tempi
passati ha lasciato spazio alla civiltà, una civiltà rurale, montana, antica,
di cui si puo’ ancora percepire l’eco affacciandosi agli splendidi panorami che
si possono ammirare dai tanti crinali che caratterizzano questa zona.
Lozzole, un po' di storia
Lozzole, un po' di storia
Cartina escursionistica di Palazzuolo Sul Senio (Fi) e dintorni |
Lozzole e la sua chiesa,
dedicata al Santo Bartolomeo, nonostante geograficamente siano compresi nel
territorio toscano, fanno capo alla Diocesi di Faenza-Modigliana (rispettivamente
in provincia di Ravenna e Forlì).
Non si hanno notizie certe e precise riguardo alla costruzione dell’attuale Chiesa di San Bartolomeo e la fondazione della parrocchia. Alcuni documenti riportano il 1782 come data d’erezione della chiesa, ma pare che già tra il 1299 e il 1350 se ne abbia notizia come compresa all’interno del borgo del Castello di Lozzole, allora posseduto dal Vescovo di Firenze.
Agli storici la
definizione di queste informazioni, che non tolgono la certezza che in questo
luogo il tempo ha fatto il suo corso conservando in un modo o in un altro la
presenza dell’edificio, a momenti consacrato o meno.
Definire ‘borgo’ il piccolo nucleo abitativo di Lozzole puo’ sembrare un po’ azzardato, essendo presenti nel punto descritto solo quattro edifici: la chiesa di San Bartolomeo con annessa la sua canonica, vicine due case contadine (di una delle quali, attualmente, restano solo i ruderi) e poco più in là un piccolo edificio, che a partire dalla fine degli anni ’40 ospitò per qualche anno il circolo ricreativo del borgo.
Definire ‘borgo’ il piccolo nucleo abitativo di Lozzole puo’ sembrare un po’ azzardato, essendo presenti nel punto descritto solo quattro edifici: la chiesa di San Bartolomeo con annessa la sua canonica, vicine due case contadine (di una delle quali, attualmente, restano solo i ruderi) e poco più in là un piccolo edificio, che a partire dalla fine degli anni ’40 ospitò per qualche anno il circolo ricreativo del borgo.
Originariamente il nome
effettivo della località su cui sorge Lozzole era ‘La Colla’, nome che era
rimasto a identificare una delle due abitazioni accanto alla canonica, mentre
la seconda era identificata come ‘La Stalla’.
‘Lozzole’, infatti, era
più che altro il nome che definiva l’intera zona circonstante la parrocchia con
tutte le case abitate dal cosiddetto ‘popolo di Lozzole’ sparse qua e là e,
alcune di esse, anche distanti ore di cammino dalla chiesa, che facevano
riferimento a questo nucleo sul crinale quale punto d’incontro tra le famiglie
per momenti sociali, religiosi e ricreativi. Anche tanti dei nomi di queste
case sono presenti nelle cartine a identificare le località in cui sorgevano e
in cui ora restano solo ruderi: le Fogare, Cà del Piano, Pian di Bonaccia, Pian
delle Fagge (o della Faggia), Finto morto, Cà Vecchia, Il Cigno, etc.
Nel borghetto di
Lozzole, oltre alla chiesa e al piccolo circolo c’era anche la scuola ospitata
in una stanza della canonica, frequentata dai bambini, che arrivavano a piedi
dalle montagne circostanti per riuscire a ‘prendere’ (si diceva allora) almeno
le classi elementari. Sempre qui, durante le grandi occasioni (ad esempio, la Festa
dei fiori ai primi di maggio e altre festività importanti) si riunivano anche
le persone che arrivavano da altri paesi e parrocchie per festeggiare.
Lozzole (Foto di Antonella Falco) |
Proprio durante le mie “battute di trekking” da queste parti ho cominciato a incuriosirmi, a volerne sapere di più riguardo a questo splendido territorio, a pormi domande sui posti che vedevo percorrendo i numerosissimi sentieri tracciati nel tempo dagli esperti escursionisti che mi avevano preceduta. Sentieri che in tanti casi ripercorrono le vecchie carraie che erano utilizzate dalle genti di montagna per spostarsi, prevalentemente a piedi o al massimo con un ciuco, un cavallo o un mulo, e che per tantissimi anni hanno popolato l’Appennino oppure da carbonai e boscaioli che dai monti attingevano le risorse per il proprio sostentamento. Sentieri battuti tra i boschi o campi scoscesi o ancora, quando era stato possibile farlo, selciati con grandi lastre di pietra che ancora combattono contro il tempo e le intemperie che li divorano.
Le domande che si riproponevano
maggiormente nella mia mente erano riferite a “chi aveva mosso gli stessi passi
che muovevo io per quelle montagne? Perché? Dove si dirigeva? Come trascorreva
le proprie giornate lassù? Quali erano le difficoltà che doveva superare per
potersi ricavare angoli adatti alla propria sopravvivenza e a quella della
propria famiglia?”.
Amo definirmi una
“pellegrina” nel senso più antico del termine, non quello che più di recente ha
relegato la parola all’ambito religioso.
Il “peregrinus”
inizialmente era, infatti, colui che si muoveva, peregrinava appunto, “per-agros”
(etimologia latina), cioè “attraverso i campi”, le zone al di fuori delle
città: erano viandanti, mercanti, vagabondi, religiosi; erano, insomma, tutti
coloro che si spostavano prevalentemente a piedi, assecondando un tipo di vita “nomade”
tale per le più svariate motivazioni.
I pellegrini incontrano sempre
molte persone lungo il proprio cammino e con queste parlano, si scambiano
informazioni, chiedono indicazioni.
Sarebbe piaciuto anche a
me incontrare più persone lungo i nostri sentieri montani per farmi dare da
loro le risposte alle domande che mi ponevo.
Ormai però, questi territori
sono disabitati. Infatti, dal secondo dopo guerra in poi, piano piano, le
famiglie che qui vivevano si sono spostate a valle nella speranza di una vita
migliore, più comoda e di un lavoro più remunerativo della scarna agricoltura
che qui praticavano.
Visuale dall'interno di uno dei portici laterali della Chiesa di San Bartolomeo di Lozzole (Foto di Antonella Falco) |
Così ho deciso di
rifarmi a quanto raccontano gli anziani che hanno vissuto lassù fino a 30 o 40
anni fa per raccogliere notizie e trovare nelle loro parole descrizioni di
quanto avveniva in quella comunità appenninica definita ‘il popolo di Lozzole’.
L’occasione della
raccolta di tutte le informazioni presenti in questo articolo, sono infatti il
risultato di questi dialoghi innumerevoli, sporadici, fatti ‘a pezzi’, arrivati
dalle voci più svariate (ex abitanti del posto, volontari, parroci, etc), ma
che come i pezzetti di un puzzle sono arrivati a comporre un racconto omogeneo
e soprattutto reale. Un racconto che descrive passato, presente e rinascita di
Lozzole.
Lo spopolamento delle montagne avvenuto tra gli anni ’50 e ’70 ha portato l’abbandono e il graduale degrado sia di Lozzole che di tutte le abitazioni sparse tra i monti circostanti e anche la fine delle attività di servizio come quella del Mulino delle Fogare, che serviva tutto il ‘popolo di Lozzole’.
Le famiglie che lassù
vivevano, erano per la maggiore contadini e piccoli allevatori. Mezzadri di proprietari
terrieri che possedevano ampi appezzamenti di terreni montani. La loro era
un’economia di sussistenza e molto semplice, che si basava sull’allevamento di
pochi capi d’animali: qualche mucca da latte (con cui producevano formaggi da
dividere col padrone), capre, pecore, galline e conigli.
Le coltivazioni erano piccole
e di grano e granturco; l’occupazione prevalente era quella data dalla cura dei
castagneti, molto numerosi ancora oggi da quelle parti e alla raccolta delle
castagne, componenti basilari dell’alimentazione di queste genti (la polenta
dolce di castagne era, infatti, il piatto che più comunemente si gustava freddo
o caldo nelle case di tutti).
Tutti, bambini compresi,
contribuivano al lavoro domestico e della scoscesa campagna che avevano a
disposizione, al pascolo degli animali (molto spesso affidato proprio ai più
piccoli) e alla produzione di quanto più si poteva in casa: pane, formaggio e
poco altro.
Per comprendere quale
fosse il ‘territorio’ di Lozzole, bisogna far riferimento alla competenza della
parrocchia di San Bartolomeo, delimitata a nord dal crinale dell’Appennino
tosco-romagnolo, a sud dalla strada statale Faentina (attualmente SS 302) nei
pressi di Fantino di Marradi; ad ovest fino alla località dei Diacci nel cuore
dell’Appennino in cui incontra il territorio di pertinenza della Parrocchia di
Casetta di Tiara e, infine, ad est con quella di Cardeto.
Una parrocchia che fino
al 1946 contava circa 200 ‘anime’, che in meno di mezzo secolo si sono ridotte
ad un numero inferiore alla decina.
La ricostruzione
Questi e forse pure meno
i numeri che si contavano all’incirca a metà degli anni 2000, quando il parroco
faentino Don Antonio Samorì, che già aveva condotto e terminato con l’aiuto di
tanti volontari, la ristrutturazione del noto Eremo di Gamogna
e del piccolo nucleo di Trebbana (entrambe nel comprensorio del Comune di Marradi - FI), decise di ristrutturare anche
il borghetto di Lozzole partendo proprio dalla Chiesa di San Bartolomeo e la
sua canonica, già in avanzato stato di deperimento e privi di tanti arredi che,
purtroppo, col tempo erano stati portati altrove o da chi voleva salvarli
dall’abbandono in cui versavano e conservarli al meglio (è il caso della statua
della Madonnina di Lozzole, che si diceva elargisse molte grazie, spostata
forse –racconta chi conserva ancora questi ricordi- nella chiesa di Casaglia)
o, spiacevolmente, da sciacalli soliti nel trafugare questo tipo di materiale
da luoghi similmente abbandonati.
Don Antonio Samorì con
l’aiuto dei tanti volontari che lo seguono in queste splendide opere di
recupero e supportato a più riprese dalla Società Polisportiva e Culturale di
San Cassiano, negli anni è riuscito a riportare la chiesa di Lozzole all’antico
splendore.
Vista di Lozzole con impalcature del restauro. Primi anni 2000 (Foto dal web) |
E proprio lo scorso 12
agosto 2012, con una cerimonia alla quale hanno partecipato anche Cristian
Menghetti, sindaco del Comune di Palazzuolo sul Senio assieme a una folta
delegazione di concittadini e il Cardinale di Firenze S.E. Mons. Giuseppe
Betori, ha inaugurato ufficialmente la riapertura della Chiesa di San
Bartolomeo.
Una chiesa semplice,
essenziale e viva! Impreziosita all’interno da un monumentale crocefisso, posto
nella parete retrostante l’altare, in legno di castagno opera dello scultore
faentino (ma originario di San Cassiano) Giorgio Palli.
Nonostante questo
momento ufficiale, la chiesa da quando i lavori di ristrutturazione sono
iniziati, non ha mai smesso di ‘funzionare’, grazie alla puntualità di Don
Samorì, che qui officia regolarmente la Santa Messa la prima domenica di
maggio, in occasione della festa più nota di questo luogo, cioè ‘La festa dei
fiori’, a Ferragosto, a fine estate in occasione dell’annuale festa del CAI –
Club Alpino Italiano di Faenza e nelle notti delle vigilie di Natale e Pasqua.
Messe sempre
gremitissime, che oltre a richiamare appassionati escursionisti, pellegrini e
viandanti, riavvicina tanti di coloro che conservano il ricordo della propria
vita o di quella dei propri avi trascorsa qui e nel territorio circostante.
Occasioni di festa,
ricordi e incontro, queste giornate, per vecchi e nuovi amici di Lozzole, che trovano
qui un calore speciale: infatti, sia la canonica (attrezzata con cucina e circa
30 posti letto) che la Chiesa di San Bartolomeo sono sempre aperti per chi
voglia ritagliarsi un momento speciale di evasione e tranquillità, lontano dagli incalzanti ritmi
cittadini e per ritrovare una spiritualità animata e intensificata dal verde
che circonda questo luogo.
Cantiere d'installazione del nuovo crocefisso. (Foto di Antonella Falco) |
Nuovi amici e nuove forme di volontariato per Lozzole
Don Samorì ha anche
provveduto a non lasciare senza custodia Lozzole, decidendo di affidare il
ruolo di custode a qualcuno che potesse prendersi cura del ‘rifugio’ e
occuparsi dell’accoglienza degli escursionisti, dei gruppi scout o di chiunque
volesse alloggiarvi per uno o più giorni.
Il primo dei custodi del
‘rinnovato Lozzole’ dal 2009 al 2012, è stato Fabrizio Savorani giovane
brisighellese amante dell’Appennino e amico di Don Antonio, che durante il periodo
di custodia del luogo, con alcuni amici volenterosi e pure appassionati del
posto, con l’intento di conservare il più possibile la memoria fisica ma pure
storica di Lozzole ha provveduto ad una prima ristrutturazione e messa in
sicurezza anche di quello che era lo stabile, che accanto alla canonica, aveva
ospitato il circolo ricreativo del borgo.
La scoperta
dell’esistenza del circolo, è stata fatta da Fabrizio e dai suoi amici, grazie
alla lettura del prezioso libro “Palazzuolo
Sul Senio: le immagini e la memoria” scritto da Roberto Campomori
(palazzuolese ed ex-sindaco di questo Comune) pubblicato nel 2003, in cui si fa
cenno proprio a questo circolo, la cui ubicazione però non era ben definita.
Lo stabile che ospitava il Circolo di Lozzole (Foto di Antonella Falco) |
Grazie ai racconti degli
ex abitanti di Lozzole fatti nelle giornate di festa in cui tornano a far
visita al luogo, il circolo è stato fisicamente identificato nella costruzione,
fortunatamente ancora in discreto stato di conservazione, che si trova
all’imbocco del sentiero lastricato che da Lozzole, passando per Stabbia, porta
ancora oggi a Fantino di Marradi.
Il lavoro di ripulitura
e recupero del piccolo circolo, che a quanto raccontano gli ex abitanti di
Lozzole, ha alle spalle una gloriosa storia degna del luogo in cui si trova, è
andato avanti e prosegue tuttora, anche se non con gli stessi ritmi e la
portata dei restauri fatti alla chiesa e alla canonica.
Tuttavia, l’intento di
questo ulteriore gruppo di volontari è quello di cercare di portare a termine
il lavoro iniziato, raccogliendo anche tutte le notizie possibili che coloro
che hanno vissuto a Lozzole e sono ancora in vita possono raccontare.
Col cambio della guardia
a custodia di Lozzole, avvenuto tra il 2012 e il 2013, il giovane Fabrizio ha
passato il testimone a Carlo, attuale custode del posto.
Nonostante ciò, Fabrizio
ha voluto continuare a dedicare attenzione e tempo a Lozzole, procedendo col
gruppo di amici formatosi proprio grazie a questo periodo trascorso lassù, nel
fare ricerche che possano ricostruire la memoria del ‘popolo di Lozzole’ con
episodi, storie, memorie accadute tra queste montagne.
L’intento di questo
gruppo è quello di raccogliere, in un futuro prossimo, tutte le testimonianze
raccolte in un volume che potrà essere venduto e il cui ricavato sarà devoluto
interamente per i lavori di ristrutturazione ancora necessari per questo
affascinante borgo montano, che ha la capacità di conquistare profondamente
tutti coloro che hanno occasione di conoscerlo.
E così, proprio grazie a
queste ricerche e interviste che questo nuovo gruppo di volontari di Lozzole
(me compresa) conduce alla scoperta della vita passata del ‘popolo di Lozzole’
riemergono storie davvero belle, fatte di sorrisi, fatica, tragedie, lavoro,
famiglia, di bambini privi di giocattoli, ma che una fantasiosa creatività
rendeva allegri e spensierati nelle loro corse attraverso queste montagne.
Lozzole (Foto di Antonella Falco) |
Storie di maestre che
insegnavano filastrocche, aspettavano sull’uscio della scuola piccoli
camminatori instancabili, felici di andare a scuola perché lì potevano scoprire
cose nuove e soprattutto ritrovarsi e giocare con i loro (non proprio) ‘vicini
di casa’, dimenticandosi per un po’ del lavoro che li aspettava comunque a casa
assieme al resto della famiglia.
Storie di scarpinate
notturne alla volta del circolo, dove ‘l’orchestra’ di turno (formata di due o
tre musicisti) allietava serate di balli a lume di piccole lanterne ad olio o
di serate passate ‘a veglia’ nella casa di una o l’altra famiglia a giocare a
carte o a raccontarsi storie tramandate da nonni a nipoti.
Leggende di fantasmi che
infestavano e infestano ancora luoghi e ruderi dove chiunque passava tornava
raccontando che là “si vedeva!” o “si sentiva!”.
Storie di povertà e di
semplicità, ma che tutti coloro che raccontano non possono far a meno di
ricordare con gli occhi lucidi e una frase che accomuna tutti alla fine di ogni
storia e scardina in tutti la certezza che in quei luoghi si soffrisse una vita
dura piena di privazione: “Eravamo
contenti!”.
Lavabo abbandonato in un rudere adiacente Lozzole (Foto di Antonella Falco) |
Forse proprio la
serenità di queste genti di montagna è quella che si respira a Lozzole ogni
volta che lo si raggiunge.
Relazione molto particolareggiata e corredata di belle immagini. Complimenti da Cavinotto, membro dei Gruppo Escursionistico di Marradi "L'Allegra Brigata del Maggiociondolo" che si avvale di un suo blog dove si racconta del nostro girovagare su e giù per l'Appennino. Il titolo del blog è "L'ALLEGRA BRIGATA DEL MAGGIOCIONDOLO" DI MARRADI.Buone passeggiate !
RispondiEliminaPiacere di conoscerti Cavinotto e grazie mille per la lettura e il commento!
EliminaNon conoscevo il gruppo di cui fai parte, ma annovererò volentieri il vostro blog tra quelli "amici" a cui qui sto dedicando una pagina apposita, ancora in costruzione.
Come mai il nome "maggiociondolo"? E' per caso collegabile al tradizionale girovagar del Maggio?
No ! Il nome del Gruppo è stato abbinato ad una magnifica pianta dei nostri boschi che fiorisce a grappoli fra aprile e maggio. Fra l'altro è una pianta dal legno più duro e resistente dei nostri posti..Scusa il ritardo nella risposta.Ciao
EliminaComplimenti Antonella per tutte le notizie che sei riuscita ad ottenere! So per esperienza che non è facile e occorre dedicare molte ore alle ricerche. Ti auguro buone passeggiate e tanto successo al tuo Blog.
RispondiEliminaAnna! Un vero onore per me avere i tuoi complimenti e l'augurio è reciproco! Grazie mille!
EliminaBellisima ricostruzione di un luogo, dei suoi abitanti, delle sue relazioni, ancora vive nel nostro territorio. Grazie! Buona notte
RispondiEliminaio sono faentino ma vivo in bolivia da 10 anni oramai....a lozzole andai la prima e purtroppo unica volta circa 25 anni fa, ricordo che suscito' in me le medesime emoz=zioni e le stesse domande del tuo articolo...complimenti e grazie per l-attivita che da modo, anche a chi e' lontano, di saperne di piu...
RispondiEliminaPosto incantevole che grazie al mio amico Francesco ho avuto il piacere di visitare il 30 dicembre 2016.
RispondiEliminaAbbiamo avuto anche il piacere d'incontrare sia don Antonio che i simpaticissimi ed accoglienti Giorgio e
Giovanni con i quali abbiamo trattenuto una piacevole e simpatica conversazione che conferma praticamente in tutto questo ottimo articolo.
Grazie.
Fabio
Oggi 27 ottobre 2024 ho lasciato una giacca sportiva alla chiesa di lozzole potete darla a don Antonio andrò io a prenderla a basiago grazie
RispondiElimina